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Come elaborare il lutto ai tempi del Covid

A causa del virus molte persone non hanno potuto dare l'ultimo saluto a un proprio caro. Così, al dolore della perdita, si aggiungono anche frustrazione e senso di colpa. Per non lasciarsi sopraffare è fondamentale trovare spazi di ascolto e conforto


Forse Fabrizio De André aveva ragione quando diceva, in una delle sue straordinarie canzoni: “Quando si muore si muore soli”. Ma questa è un’esperienza che non possiamo conoscere, finché non toccherà anche a noi attraversare questo passaggio.

In realtà parlare di morte è molto difficile, anzi per molte persone è difficile anche stare vicino a chi ha subito un grave lutto, trovare le parole adatte, portare conforto.

La cultura occidentale insegna a rifiutare il pensiero della morte, a relegarla nell’oblio, o ad esserne atterriti, come fosse solo un’ineluttabile perdita definitiva, da evitare a tutti i costi.

Nei secoli passati invece, malattie, guerre e carestie rendevano la morte una presenza costante, aleggiava davanti alla porta di ogni casa e veniva accolta in modo naturale come un evento che fa parte della vita.

Ancora oggi, molte filosofie e pratiche religiose orientali, come ad esempio il Buddismo, considerano estremamente importante l'esperienza effettiva della morte come passaggio, e, per questa cultura, la capacità di accettarla è unita alla chiara comprensione che il dolore e la sofferenza possono essere fattori di un profondo, naturale processo di purificazione e cambiamento.

Ma in ogni caso, nessuno potrebbe negare l’importanza di aiutare chi muore ad alleviare lo sconforto e l'angoscia e, nei limiti del possibile, a morire serenamente.


Il contatto fisico aiuta ad alleviare il senso di angoscia


Diversi studi dimostrano che il tocco di una carezza o il calore di una leggera pressione, inducono il rilascio di ormoni che producono rilassamento e benessere. Il cervello registra questi stimoli, anche in malati terminali in stato di incoscienza o semi-incoscienza.

Inoltre la pelle è il primo “organo di comunicazione”: il senso del tatto si sviluppa nell’embrione già dalla sesta settimana di gestazione, prima ancora che si sviluppino occhi e orecchie. Il neonato è indifeso, e se non ricevesse cure e attenzioni, attraverso il contatto, non potrebbe sopravvivere. Il tocco e la carezza gli danno il senso della sua corporeità, del suo esistere.

Lo stesso vale per i morenti, altrettanto indifesi, in cui la sensazione del corpo può essere fonte di grande angoscia, di estraniamento, di dolore. Per questo sarebbe importante poter avere accanto una persona cara, una carezza, un tocco.

Da molti mesi però purtroppo questo non può più accadere, e non solo per chi muore di Covid-19. Per nessuno. Conosco personalmente un giovane uomo, la cui vita è appesa al filo di una macchina, per un attacco cardiaco. Ed è solo. Non ha il Covid, ma le regole sono uguali per tutti: negli ospedali non si entra.


Potersi dire addio aiuta anche chi rimane in vita


E per chi resta fuori? Non potendo fare altro che aspettare un’arida telefonata di notizie, l’angoscia, il senso di impotenza e frustrazione possono assumere dimensioni amplificate e aprire la strada ai sensi di colpa: “Cosa non gli ho detto”, “Cosa non gli ho chiesto”, “Cosa non ho fatto”, “Cosa non ho ascoltato”.

È come elaborare un lutto a cui manca la fase preliminare: l’ultimo saluto, l’ultima carezza, il lasciar andare. E spesso, per molti mesi di questo infausto anno, è mancato anche l’accompagnamento nel rito funebre, un rituale che unisce le persone ed aiuta a dire addio.

I numerosi studi sull’elaborazione del lutto distinguono diverse fasi, ma declinate in modi simili: la fase dell’incredulità e della negazione, la rabbia e il senso di colpa, la disperazione, l’accettazione. Ognuno di questi passaggi è doloroso, per ognuno in modi diversi, ognuno con la propria soggettività e le proprie risorse.

Ma quanta fatica in più dovranno fare tutte quelle persone private della vicinanza alla persona cara, dell’accompagnamento verso quel misterioso e delicato passaggio, del momento dell’ultima carezza e del saluto?


Condividere in dolore con amici e familiari a volte non basta


È fondamentale dunque che queste persone non siano lasciate sole, ma abbiano la possibilità di trovare spazi di ascolto e di sostegno, per esprimere tutti i sentimenti e le sensazioni che uno strappo così lacerante può aver lasciato: familiari che condividano lo stesso dolore o persone vicine e care, che sappiano portare conforto.

Ma forse non basta. Non tutti, di fronte a chi ha avuto un grave lutto, riescono a sostenere le ondate di dolore e il bisogno di ascolto. E infine, tornando ai pensieri iniziali, stare accanto alla morte non è facile, anzi per molti è assai difficile.

Per l’elaborazione di un lutto, e particolarmente questo tipo di lutto, iniziato ancora prima dell’ultimo saluto mai dato, un supporto psicologico potrebbe essere di grande sostegno. Uno spazio di accoglienza e di ascolto, intimo e riservato, dove poter riversare i sentimenti di dolore, di solitudine, ma anche di rabbia, di frustrazione e, forse, dove magari riuscire a dare una voce anche alle ultime parole non dette.


di Anna Lida Meneghello, psicologa e psicoterapeuta del Centro Kaleidos



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